Con la sentenza in epigrafe, la Quinta Sezione del Consiglio di Stato, nel respingere il ricorso, si è pronunciata in merito alla rilevanza del Piano Economico Finanziario (PEF) in tema di concessioni nonché alla possibilità di esperire il rimedio del soccorso istruttorio da parte della Stazione Appaltante.
Tale pronuncia trae origine dall’accoglimento da parte del TAR Abruzzo del ricorso avverso l’affidamento in concessione della gestione degli impianti sciistici della Stazione Monte Piselli nei Comuni di Valle Castellana e Civitella del Tronto per il periodo 2019/2024.
In particolare, con sentenza 17 aprile 2020, n. 132, i giudici di prime cure hanno accolto il ricorso osservando che l’omessa allegazione del PEF della propria offerta ha impedito alla stazione appaltante la possibilità di riscontrare la “concreta capacità del concorrente di correttamente eseguire la prestazione per l’intero arco temporale prescelto attraverso la responsabile prospettazione di un equilibrio economico – finanziario di investimenti e connessa gestione, nonché il rendimento per l’intero periodo”.
Secondo il Tribunale Amministrativo Regionale, anche alla luce della lex specialis di gara, tenuto conto che il PEF costituisce un elemento essenziale dell’offerta, la mancata produzione dello stesso avrebbe dovuto determinare l’esclusione della società resistente. Sicché, il Collegio ha concluso nel senso di ritenere illegittimo il ricorso al soccorso istruttorio per richiedere all’affidataria il PEF mancante, in violazione dell’art. 83, comma 9, D.Lgs. 50/2016.
Avverso tale decisione, gli odierni ricorrenti hanno proposto appello, deducendo che il PEF non avrebbe rappresentato un elemento essenziale dell’offerta economica, integrante la stessa proposta contrattuale a pena di esclusione, in quanto la concessione in parola riguardava servizi di mera gestione che non richiederebbero investimenti assimilabili a quelli che caratterizzano le operazioni di partenariato pubblico privato o le concessioni di costruzione e gestione di lavori pubblici, con esclusione dell’applicabilità dell’art. 183, comma 9, D.Lgs. 50/2016.
Sul punto, i giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto infondato il motivo in esame, sulla scorta dello scopo sotteso alla richiesta di presentazione del PEF.
Ai sensi dell’art. 183, comma 9 del D.Lgs. n. 50/2016, infatti, nelle procedure finalizzate all’affidamento di concessioni con il sistema della finanza di progetto, le offerte devono contenere obbligatoriamente, oltre alla “bozza di convenzione”, un “piano economico-finanziario” asseverato, che assume un ruolo di primaria importanza, in quanto preordinato a dimostrare la capacità del concorrente di eseguire correttamente la prestazione per l’intero arco temporale prescelto, attraverso la responsabile prospettazione di un equilibrio economico -finanziario di investimenti e connessa gestione, nonché il rendimento per l’intero periodo.
In tal senso, è possibile affermare che il PEF costituisce lo strumento che consente all’Amministrazione di valutare l’adeguatezza dell’offerta e l’effettiva realizzabilità dell’oggetto della concessione e rappresenta, per comune e consolidato intendimento, un elemento significativo della proposta contrattuale ed integra a pieno titolo l’offerta, di cui vale ad illustrare, valorizzare, corroborare e giustificare la complessiva sostenibilità tractu temporis: pur non sostituendosi o sovrapponendosi ad essa, in sostanza, ne rappresenta un supporto per la valutazione di congruità, al fine di provare che l’impresa andrà prospetticamente a trarre utili tali da consentire la gestione proficua dell’attività.
Di talché, il Consiglio di Stato ha affermato che “Ne consegue la sua rilevanza (ndr. del PEF) già in sede di valutazione dell’offerta economica e, di converso, l’insuscettibilità di ricorrere al soccorso istruttorio in caso di sua mancata produzione unitamente alla documentazione allegata all’offerta. Ciò derivando dalla sua specifica natura, dunque a prescindere da un’espressa previsione in tal senso da parte della lex specialis, così come dalla natura dell’affidamento oggetto di gara”.
In conclusione, i giudici di Palazzo Spada hanno respinto, altresì, il secondo motivo di appello, con il quale i ricorrenti avevano censurato la ritenuta inapplicabilità al caso di specie del c.d. principio di rotazione.
Sul punto si osserva che il principio di rotazione può trovare il suo campo di applicazione prediletto ed esclusivo nelle procedure ristrette, ove l’esclusione del gestione uscente dal novero degli operatori economici suscettibili di essere inviatati alla procedura garantisce l’avvicendamento tra gli stessi.
Di conseguenza, il Collegio ha ritenuto infondato anche tale motivo di appello, rilevando l’esigenza di conformarsi al consolidato orientamento giurisprudenziale per cui “il principio di rotazione non trova applicazione nel caso in cui la stazione appaltante decida di selezionare l’operatore economico mediante una procedura aperta, che non preveda una preventiva limitazione del numero di operatori economici tra i quali effettuare la selezione (ad esempio, attraverso inviti); in pratica, trattandosi di principio posto a tutela della concorrenza, lo stesso non opera “quando il nuovo affidamento avvenga tramite procedure ordinarie o comunque aperte al mercato, nelle quali la stazione appaltante, in virtù di regole prestabilite dal Codice dei contratti pubblici ovvero dalla stessa in caso di indagini di mercato o consultazione di elenchi, non operi alcuna limitazione in ordine al numero di operatori economici tra i quali effettuare la selezione”.