Consiglio di Stato, Sez. VI, 05.03.2021, n. 1867
Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 1867/2021, pubblicata lo scorso 5 marzo 2021, si è pronunciato sulla questione relativa alla individuazione dell’ambito di applicabilità della disposizione di cui all’art. 9 D.M. n. 1444 del 1968 che, come è noto, stabilisce i limiti di distanza tra i fabbricati.
Rispetto alla citata norma, infatti, il ricorrente aveva eccepito che la previsione de qua riguardasse esclusivamente le “nuove costruzioni” e non anche le ristrutturazioni edilizie e che si sarebbe dovuta ritenere erronea l’affermazione del primo giudice secondo cui l’intervento in progetto – in quanto comportante “una significativa modifica della sagoma in corrispondenza della copertura dell’edificio” – fosse comunque assimilabile ad una “nuova costruzione”.
Al riguardo, il supremo Giudice Amministrativo ha puntualizzato – in merito all’applicabilità dell’evocato art. 9 D.M. 1444 del 1968 e all’individuazione della nozione di “nuova costruzione” – come il mero rinvio all’art. 3, lett. e), del d.P.R. 380 del 2001 non appaia dirimente.
Nella sentenza in commento viene richiamata la giurisprudenza, sia amministrativa (da ultimo, Cons. Stato, IV, 8 gennaio 2018, n.72; id., IV, 2 marzo 2018, n.1309) che civile (Cass. civ., II, 15 dicembre 2020, n.28612; id., II, 28 ottobre 2019, n.27476; id., II, 10 febbraio 2020, n.3043) la quale ha evidenziato una tendenziale autonomia del concetto in ambito civilistico, rimarcando che, ai fini dell’osservanza delle norme sulle distanze legali tra edifici di origine codicistica, la nozione di costruzione non può identificarsi con quella di edificio, ma deve estendersi a qualsiasi manufatto non completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità, ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, indipendentemente dal livello di posa e di elevazione dell’opera (Cons. Stato, IV, 22 gennaio 2013, n. 354).
Tanto premesso, il Collegio ha concluso come nel caso in esame vengano comunque in evidenza interventi sulla volumetria dell’immobile e come, in relazione ai singoli elementi progettuali, la violazione delle distanze appaia evidente, “essendo così conseguentemente irrilevante la vantata qualificazione delle opere come interventi di ristrutturazione edilizia”; sotto ulteriore profilo il Consiglio di Stato ha pure rimarcato la rilevanza dell’esigenza primaria di tutelare le distanze che, come recita il citato art. 9, sono quelle minime e che quindi possono essere violate anche solo puntualmente, atteso che il carattere di nuova costruzione va riscontrato in rapporto ai “caratteri del suo sviluppo volumetrico esterno” (Cass. civ., II, 15 dicembre 2020, n.28612).