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Il Consiglio di Stato si pronuncia sulla legittimità dell’istanza di adeguamento del corrispettivo in assenza di una clausola di revisione dei prezzi

Il Consiglio di Stato si pronuncia sulla legittimità dell’istanza di adeguamento del corrispettivo in assenza di una clausola di revisione dei prezzi

Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato

Consiglio Di Stato, Sez. IV, 31 ottobre 2022, n. 9426. Il Consiglio di Stato si pronuncia sulla legittimità dell’istanza di adeguamento del corrispettivo in assenza di una clausola di revisione dei prezzi

Con la sentenza in commento, la Quarta Sezione del Consiglio di Stato si è pronunciata in merito alla riconducibilità dell’istanza di adeguamento del corrispettivo, avanzata nell’ambito di un contratto pubblico di servizio in assenza di un’espressa clausola di revisione dei prezzi, nell’alveo dell’art. 106, lett. c), del D.lgs. 50/2016.

Come noto, sono in atto pregiudizievoli fenomeni inflattivi e difficoltà di approvvigionamento delle materie prime, che stanno producendo straordinari incrementi dei prezzi di acquisto praticati dalle aziende fornitrici, nazionali ed estere. Prima la pandemia da Covid-19 e poi il conflitto bellico russo-ucraino, infatti, hanno comportato, a far data dal mese di marzo 2020 e fino ad oggi, un aumento incontrollato ed eccezionale dei costi delle materie prime e dell’energia, da cui è derivato anche un diffuso incremento del corrispettivo di servizi e sub-affidamenti quali subappalti, posa in opera, noli a caldo e a freddo, che ha determinato una crescente perdita economica per gli operatori economici.

Trattasi di circostanze che si pongono al di fuori di ogni logica di controllo e prevedibilità per gli operatori economici ed esulano anche dall’alea di rischio assunta da questi ultimi al momento della sottoscrizione del contratto.

In un tale contesto, al fine di fronteggiare il rincaro costante e generalizzato dei prezzi delle materie prime, il legislatore è ripetutamente intervenuto con disposizioni normative di carattere emergenziale, introducendo delle misure di sostegno alle imprese, anche volte a garantire un costante adeguamento dei prezzi dedotti in contratto rispetto al reale andamento del mercato, nel tentativo di scongiurare l’eccessiva onerosità delle prestazioni.

La vicenda de qua trae origine dalla richiesta presentata dall’aggiudicatario prima della stipulazione del contratto d’appalto di risoluzione bonaria della problematica legata all’aumento dei costi delle materie prime e, segnatamente, dello smaltimento.

A seguito di detta istanza, infatti, è stato intrapreso un contraddittorio tra le parti che si è concluso con il rigetto dell’istanza formulata dalla ditta e l’emanazione del provvedimento di revoca dell’aggiudicazione, avverso cui l’impresa ha proposto al TAR Lombardia.

A fronte del rigetto del ricorso, l’impresa soccombente ha proposto appello avverso la pronuncia di primo grado, rilevando, in primo luogo, che le modifiche all’oggetto del contratto, cui la lettera della norma si riferisce, riguarderebbero anche la modifica del corrispettivo pattuito e, dunque, “la sentenza erra nel negare che una variazione di prezzo resa “necessaria” dai fattori imprevedibili ex art. 106 c. 1 lett. c) CCP non si risolva in “modifica al progetto” ai sensi e fini di esso”. Peraltro, l’appellante prosegue osservando di aver argomentato e documentato ampiamente l’aumento dei costi intervenuti nel biennio 2018-2020 e la sua imprevedibilità.

Nonostante gli sforzi ermeneutici apprezzabili della ricorrente, i giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto infondata la prospettazione della ricorrente, rigettando anche l’appello.

Per quanto di nostro interesse, il Consiglio di Stato ha chiarito che a fronte di un’istanza, formulata dall’appaltatore, di adeguamento del corrispettivo dei servizi da svolgere ed in carenza di un’espressa clausola di revisione dei prezzi, si applica la lettera a), e non la lettera c), dell’art. 106 del codice dei contratti pubblici, il quale, al comma 1, scandisce i casi di modifica dei contratti di appalto, nei settori ordinari e nei settori speciali, senza una nuova procedura di affidamento.

Infatti, mentre la lettera c) fa testuale ed espresso riferimento a quelle “modifiche dell’oggetto del contratto” che si correlano alle “varianti in corso d’opera”, la lettera a), nel contemplare le “variazioni dei prezzi e dei costi standard”.

In altri termini, la lett. c) afferisce alle modifiche che riguardano l’oggetto del contratto sul versante dei lavori da eseguire (arg. da Cons. Stato Sez. II, 28 agosto 2020, n. 5288; Sez. V, 02 agosto 2019, n. 5505; Sez. VI, 19 giugno 2017, n. 2969; ma, in linea generale, nulla preclude di riferire la disciplina in questione anche alle forniture da erogare o ai servizi da svolgere) e la lett. a) disciplina gli aspetti economici del contratto ed è ancorata ad una rigorosa previsione di clausole di revisione dei prezzi.

A tal proposito, il Collegio ha osservato anche che le modifiche di cui all’art. 106, comma 1, d.lgs. n. 50/2016 sono riferite ai “contratti”, presupponendo che il contratto sia stato già stipulato, mentre nel caso di specie, la società istante ha domandato la modifica delle pattuizioni prima di procedere alla stipulazione del contratto.

Peraltro, la ricostruzione dell’appellante non può essere giustificata neppure alla luce dei principi generali dell’ordinamento euro-unitario né dal considerando n. 109 un principio di ordine generale che dovrebbe favorire l’impiego di rimedi manutentivi e perequativi da parte delle stazioni appaltanti.

Infatti, dalla stessa giurisprudenza della Corte di giustizia (sentenze 19 aprile 2018, C-152/17; 7 settembre 2016, C-549-14), si trae una sostanziale neutralità del diritto europeo rispetto agli eventuali rimedi manutentivi che gli ordinamenti nazionali approntano per fronteggiare le sopravvenienze che incidono sugli aspetti economici del contratto, fermo il disfavore per soluzioni che alterino surrettiziamente il gioco della concorrenza attraverso affidamenti diretti senza gara.

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