Cassazione Civile, Sez. I, 29 aprile 2024, n. 11491. Sulla esatta distinzione tra varianti in corso d’opera e lavorazioni extracontrattuali e sull’operatività del regime delle riserve in caso di maggiori lavorazioni eseguite
Con la sentenza in commento la Suprema Corte di Cassazione ha avuto modo di delimitare, in materia di contratti pubblici, i confini tra la variante necessaria in corso d’opera e le lavorazioni extracontrattuali.
Nel caso in esame, una società ricorreva per Cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma che, in riforma della sentenza di primo grado, aveva rigettato la domanda volta ad ottenere il corrispettivo per le maggiori e più complesse prestazioni rese nell’ambito del contratto di appalto.
Più nel dettaglio, la Corte di Appello aveva valorizzato l’eccezione della Committente in base alla quale la Società non aveva provveduto a formalizzare la pretesa di maggiori compensi ai sensi dell’art. 18 dell’atto di sottomissione “mediante comunicazione scritta da far pervenire all’indirizzo del committente tramite lettera raccomandata a.r. entro il termine di decadenza di 15 giorni dalla data in cui si è verificata la causa delle riserve“.
Orbene, nel cassare la sentenza di appello, la Corte di legittimità ha avuto modo di precisare che “In tema di appalto, le nuove opere richieste dal committente costituiscono varianti in corso d’opera ove, pur non comprese nel progetto originario, siano necessarie per l’esecuzione migliore ovvero a regola d’arte dell’appalto o, comunque, rientrino nel piano dell’opera stessa; costituiscono, invece, lavori extracontrattuali quelli in possesso di un’individualità distinta rispetto all’opera originaria, seppure ad essa connessi, ovvero ne integrano una variazione quantitativa o qualitativa oltre i limiti di legge; cosicché, nel primo caso, l’appaltatore è, in linea di principio, obbligato ad eseguirle, nel secondo caso, le opere debbono costituire oggetto di un nuovo appalto (cfr. Cass. (ord.) 5.9.2023, n. 25800; Cass. 12.5.2016, n. 9767)”.
Pertanto, sulla scorta dei richiamati principi, la Corte ha ritenuto non applicabile al caso di specie la clausola negoziale invocata dalla Committente, ritenendo che, essendo la pretesa dell’Impresa afferente a lavorazioni extracontrattuali. “la corte di merito avrebbe dovuto disconoscere qualsivoglia valenza alla previsione di cui all’art. 18 dell’atto di sottomissione in data 25 marzo 2004, prefigurante l’operatività del regime delle riserve, atteso che l “A.N.A.S.” avrebbe dovuto far luogo – in ossequio ai principi di correttezza e buona fede – alla stipulazione di un contratto integrativo, contemplante il pagamento del corrispettivo commisurato alle maggiori opere eseguite”.