Con la sentenza in esame, il Consiglio di Stato ha espresso una ricostruzione della portata dell’art. 24, comma 7, del d.lgs. n. 50/2016.
Con ricorso dinanzi al Consiglio di Stato, l’appellante lamentava che né il provvedimento di esclusione dalla gara impugnato, né la sentenza gravata avessero dimostrato la sussistenza dei presupposti stabiliti dall’art. 24, comma 7, del d.lgs. n. 50/2016, ossia di incompatibilità tra gli affidatari di incarichi di progettazione e gli affidatari degli appalti, subappalti e cottimi per il quali sia stata svolta la stessa attività progettuale.
A tal proposito, il Collegio ha ricordato che la ratio della previsione è quella di evitare che nella fase di selezione dell’appaltatore sia “attenuata la valenza pubblicistica della progettazione”, con sviamento dell’interesse pubblico in favore dell’interesse privato di un singolo operatore economico, con la predisposizione di un progetto “ritagliato ‘su misura’ per quest’ultimo, anziché per l’amministrazione aggiudicatrice”. Infatti, in tali ipotesi la competizione risulterebbe falsata a vantaggio del progettista-concorrente, anche alla luce del maggior compendio tecnico-informativo disponibile a quest’ultimo.
In tale prospettiva, il Collegio ha inizialmente condiviso la prospettazione dell’appellante, secondo cui la norma non introduce una causa automatica e insuperabile di esclusione a carico del progettista coinvolto nella successiva fase esecutiva, ma determina esclusivamente un regime di “inversione normativa dell’onere della prova”, sussistendo una presunzione normativa d’incompatibilità che l’interessato deve ribaltare.
Sulla base di tali coordinate ermeneutiche, il Consiglio di Stato ha confermato la sussistenza nel caso di specie del presupposto soggettivo di cui all’art. 24 comma 7 d.lgs. 50/2016, ovvero dell’esistenza di un centro decisionale unico comportante quel rapporto osmotico e quello scambio continuo di informazioni tra progettista ed concorrente, che consente di ritenere la concertazione delle decisioni relative alla partecipazione alla procedura di gara e, quindi, la verosimiglianza dell’ipotesi che le informazioni privilegiate acquisite dal progettista siano state condivise con l’aspirante appaltatore ai fini del loro utilizzo nella predisposizione dell’offerta, in danno degli altri concorrenti.
A tal riguardo, il Collegio ha rilevato, in primo luogo, la pacifica situazione di collegamento societario tra la società mandante Alfa, che aveva partecipato alla gara, e la sua socia Beta, titolare del 30% del capitale sociale. Più nel dettaglio, il Collegio ha accertato che il socio persona fisica titolare del 10% di Beta era stato consigliere di amministrazione, nonché direttore tecnico, di Alfa. Tale soggetto, nel periodo in cui era membro del c.d.a. della mandante Alfa aveva predisposto e autorizzato, per conto di Beta, numerosi elaborati tecnici della progettazione esecutiva e alcune stime d’ufficio, corrispondenti al 18% della documentazione tecnica della gara.
A nulla è valso sostenere che il soggetto si era comunque dimesso da Alfa prima della formulazione dell’offerta. Le dimissioni, infatti, erano comunque successive alla pubblicazione del bando di gara. Né è valso sostenere che il predetto soggetto risultasse privo di deleghe nell’ambito del c.d.a. e che ogni decisione in tema di partecipazione alle gare pubbliche competesse ad altri organi di Alfa. Secondo il Collegio, infatti, tale tesi dell’appellante si poneva in aperta contraddizione, depotenziandola, con la tesi sull’importanza delle dimissioni, alle quali era stato attribuito un indubbio rilievo. Inoltre, il Collegio ha confermato che la carenza di deleghe del componente del c.d.a. – benché attesti in capo al medesimo il mancato compimento di scelte di amministrazione – non prova l’estraneità dello stesso alle decisioni adottate dagli organi competenti: soprattutto nel caso, come quello di specie, in cui tali decisioni riguardino operazioni di sicura rilevanza economica.
Non solo. Il Consiglio di Stato ha condiviso anche le conclusioni della sentenza appellata sulla sussistenza del requisito oggettivo per l’applicazione dell’art. 24, comma 7, del d.lgs. n. 50/2016.
Secondo il Collegio, infatti, hanno assunto valenza dirimente: i) il fatto che il contributo della socia Beta, nonché del socio di questa, non potesse affermarsi quale marginale, in considerazione del numero degli elaborati del progetto esecutivo posto alla base della procedura redatti da questi, sia tenuto conto del sotteso incarico, finalizzato a “verificare, aggiornare e, se necessario, produrre ex-novo” la documentazione relativa al progetto esecutivo stesso; ii) l’ulteriore elaborazione e determinazione da parte di Beta delle voci di alcuni prezziari; iii) l’osservazione del TAR, rimasta insuperata, circa il fatto che l’attività progettuale in parola, comprendente la redazione di documenti attinenti all’offerta economica, di prezziari, delle liste delle lavorazioni e dei computi metrici dei lavori relativi a varie categorie, si riferisse alla parte dell’appalto che la mandante Alfa si era impegnata a eseguire all’interno dell’ATI; iv) la notazione del TAR che le “schede analisi prezzi” redatte da Beta non avevano fatto parte della documentazione di gara messa a disposizione di tutti gli altri offerenti. Tali elementi, singolarmente e nel loro complesso, sono stati ritenuti idonei dal Consiglio di Stato a far concludere che il progettista aveva avuto accesso a informazioni rimaste riservate, acquisendo un patrimonio di conoscenze e informazioni idonee ad avvantaggiare la mandante in sede di partecipazione alla gara.