Consiglio di Stato, Sez. V, 21 marzo 2024, n. 2787. Le clausole della lex specialis di gara devono essere prioritariamente interpretate in base al criterio letterale
Con la sentenza in oggetto, la Quinta Sezione del Consiglio di Stato si è pronunciata in merito ai criteri da seguire nell’interpretazione della legge di gara, imprescindibile ai fini della valutazione della legittimità dell’operato della Stazione appaltante.
In primo luogo, i giudici di Palazzo Spada, aderendo ad un orientamento giurisprudenziale consolidato, hanno evidenziato che l’interpretazione della lex specialis soggiace, al pari di tutti gli atti amministrativi, alle stesse regole ermeneutiche previste per i contratti dagli artt. 1362 e ss. del Cod. Civ., tra cui assume valore preminente il criterio letterale.
L’art. 1362 c.c., allorché nel primo comma prescrive all’interprete di indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole, non svaluta l’elemento letterale del contratto, anzi intende ribadire che, qualora la lettera della convenzione, per le espressioni usate, riveli con chiarezza ed univocità la volontà dei contraenti e non vi sia divergenza tra la lettera e lo spirito della convenzione, una diversa interpretazione non è ammissibile (Cassazione civile, Sez. II, ordinanza n. 17159 del 25 maggio 2022).
In altri termini, si potrebbe affermare che, nella disciplina dei criteri ermeneutici previsti dal Codice Civile, lo sforzo interpretativo viene richiesto ai soggetti interessanti soltanto allorquando la lettera della norma non risulti, già di per sé, chiara ed univoca.
Di tal che, risulta evidente che le norme della legge di gara non possano “essere assoggettate a un procedimento ermeneutico in funzione integrativa, diretta ad evidenziare in esse pretesi significati impliciti o inespressi, imponendo che la loro interpretazione fondi sul significato immediatamente evincibile dal tenore letterale delle parole utilizzate e dalla loro connessione, e che, laddove il dato testuale presenti evidenti ambiguità, debba prescegliersi, in forza del principio di favor partecipationis, il significato più favorevole al concorrente (ex multis, Cons. Stato, n. 10491 del 2022; id. n. 8481 del 2022; id. n. 1486 del 2022; id. n. 5781 del 2021; id. n. 2844 del 2021; id. n. 7345 del 2020; id. n. 1322 del 2021; id. n. 1447 del 2018; id. n. 2709 del 2014)”.
Facendo applicazione dei principi sopra esposti, nel caso di specie, i giudici di Palazzo Spada hanno desunto che, in base alla lettura della lex specialis, il possesso degli automezzi doveva essere qualificato alla stregua di un requisito di esecuzione del servizio e, dunque, come mera condizione per la stipula del contratto.
Sul punto, la Quinta Sezione ha colto l’occasione per ribadire che i requisiti di esecuzione rientrano tra gli elementi caratterizzanti la fase esecutiva del servizio, distinguendoli dai requisiti generali di moralità (ex art.80, d.lgs. n. 50 del 2016) e dai requisiti speciali attinenti ai criteri di selezione (ex art. 83, d.lgs. n. 50 del 2016), necessari – invece – per accedere alla gara. Infatti, i requisiti di esecuzione sono, di regola, condizioni per la stipulazione del contratto di appalto (Cons. Stato, n. 5734 del 2020, id. n. 5740 del 2020; id. n. 1071 del 2020), ancorché possano essere considerati nella lex specialis come elementi dell’offerta, a volte essenziali (Cons. Stato, n. 9255 del 2023; Cons. Stato n. 2190 del 2019) altre volte idonei all’attribuzione di un punteggio premiale.
Pertanto, l’eventuale mancanza dei requisiti di esecuzione rileva al momento dell’aggiudicazione o al momento fissato dalla legge di gara per la relativa verifica e comporta la decadenza dall’aggiudicazione, per l’impossibilità di stipulare il contratto addebitabile all’aggiudicatario (Cons. Stato, n. 1617 del 2022).
Nel caso oggetto della pronuncia in esame, i giudici del Consiglio di Stato hanno condiviso la riconducibilità della disponibilità degli automezzi ai requisiti di esecuzione, attinenti, dunque, alla fase di esecuzione del contratto – e non, invece, alla partecipazione alla procedura -, osservando che “tale interpretazione della legge di gara è in linea con il principio del favor partecipationis, valorizzato anche dal Collegio di prima istanza, nonché con il principio della garanzia della par condicio dei concorrenti, richiamato dall’appellante a sostegno delle prospettate censure, essendo coerente ‘col testo dell’art. 95 del d.lgs. n. 50 del 2016, in specie laddove al primo comma prevede che i criteri di aggiudicazione <<garantiscono la possibilità di una concorrenza effettiva e sono accompagnati da specifiche che consentono l’efficace verifica delle informazioni fornite dagli offerenti al fine di valutare il grado di soddisfacimento dei criteri di aggiudicazione delle offerte. Le stazioni appaltanti verificano l’accuratezza delle informazioni e delle prove fornite dagli offerenti>>’ quale espressione della serietà e dei termini di adempimento dell’obbligazione futura (Cons. Stato n. 1617 del 2022)”.