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Computo del termine di impugnazione dei provvedimenti in materia di affidamento dei contratti pubblici in caso di accesso agli atti

Computo del termine di impugnazione dei provvedimenti in materia di affidamento dei contratti pubblici in caso di accesso agli atti

Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato

Consiglio di Stato, Sez. V, 15 marzo 2023, n. 2736. Sul computo del termine di impugnazione dei provvedimenti in materia di affidamento dei contratti pubblici in caso di accesso agli atti

Con la sentenza in epigrafe, il Consiglio di Stato si è pronunciato sul tema dell’esatta individuazione del termine di impugnazione dei provvedimenti in materia di affidamento dei contratti pubblici.

Nel caso di specie, a seguito del provvedimento di aggiudicazione della commessa, che veniva pubblicato nell’albo pretorio on line della stazione appaltante, un’Impresa aveva presentato istanza di accesso alla documentazione amministrativa dell’impresa aggiudicataria e, successivamente, proponeva ricorso per l’annullamento del suddetto provvedimento 57 giorni dopo la pubblicazione.

Il Giudice di prime cure rigettava il ricorso dichiarandolo irricevibile per tardività e avverso tale decisione l’Impresa proponeva ricorso in appello.

Il Consiglio di Stato ha ritenuto che l’ipotesi in esame comportasse una dilazione temporale del termine di impugnazione, confermando, tuttavia, la decisione del TAR.

In particolare, il Collegio ha evidenziato che sul tema del computo del termine di impugnazione in caso di istanza di accesso in materia di affidamenti pubblici si fossero formati tre diversi orientamenti:

a) il primo (immediatamente valorizzato e diffusamente argomentato da Cons. Stato, sez. V, 16 aprile 2021, n. 3127) propende in ogni caso per il termine “secco” (non modulabile) di 45 giorni (30+15);

b) il secondo (sposato da Cons. Stato, sez. III, 15 marzo 2022, n. 1792 e, da ultimo, da Id., sez. V, 29 novembre 2022, n. 10470) ritiene, per contro, indifferente il periodo di tempo impiegato per presentare l’istanza di accesso, dovendosi, in sostanza, concedere in ogni caso il termine ordinario di trenta giorni per impugnare gli atti di gara, con decorso dalla evasione dell’istanza ostensiva, purché tempestiva: sicché, in definitiva, il termine massimo finisce per essere spostato al 60° giorno (15+15+30);

c) un terzo orientamento (ispirato alla tesi della c.d. “sottrazione dei giorni”: in tal senso, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III-quater, 15 dicembre 2020, n. 13550; T.A.R. Umbria, Sez. I, 19 ottobre 2021, n. 736) ritiene, invece, che – fermo restando che il rifiuto o il differimento dell’accesso da parte della stazione appaltante non determina la “consumazione” del potere di impugnare – ogni eventuale giorno di ritardo del concorrente non aggiudicatario che intenda accedere agli atti deve essere computato, a suo carico, sul termine complessivamente utile per proporre gravame: sicché, in sostanza, al termine ordinario di 30 giorni occorrerebbe: c1) sia sottrarre i giorni che ha impiegato la stazione appaltante per consentire l’accesso agli atti (che non potrebbe essere posto a carico del privato); c2) sia addizionare i giorni a carico del ricorrente, pari al tempo impiegato tra la partecipazione dell’aggiudicazione e la domanda di accesso.

Fatta tale premessa, ad avviso del Collegio l’interpretazione da accogliere è quella prevista dalla soluzione sub a), in adesione alle direttive nomofilattiche della Adunanza plenaria, che individua come dies ne ultra quem il 45° giorno dalla pubblicazione (o comunicazione) della intervenuta aggiudicazione.

Difatti, “non può, anzitutto, essere condiviso l’assunto (che alimenta l’orientamento sub c) secondo cui dai 45 giorni complessivi debbano essere sottratti i giorni che l’impresa ha atteso per effettuare l’accesso, in quanto, diversamente, si lascerebbe il concorrente arbitro di determinare ad libitum la decorrenza del termine”. Non può essere accolta neppure la prospettiva intermedia, “che – in una pur plausibile logica di riconoscimento al concorrente di un “congruo termine” per la formalizzazione della richiesta di accesso documentale – finisce per riconoscere in ogni caso (quindi, indipendentemente dalla sollecitudine nella presentazione della istanza ostensiva) il termine di trenta giorni decorrenti dalla (sia pure, in ogni caso, tempestiva) evasione dell’istanza”.

Per contro, “appare corretto, in una logica di astratto e ragionevole bilanciamento degli interessi, premiare – fermo il limite minimo della tempestività – la solerzia del concorrente che, venuto a conoscenza degli esiti sfavorevoli della procedura evidenziale, si attivi sollecitamente alla presentazione della istanza di accesso, atta ad integrare il materiale documentale, per quanto non già desumibile dalla prescritta pubblicazione generalizzata dei rilevanti dati evidenziali. Deve, per tal via, ribadirsi – in conformità ad un correlativo e bene inteso canone di certezza, che, nella prospettiva assunta dall’Adunanza plenaria, compendia le esigenze difensive con un qualificato principio di buon andamento dell’azione amministrativa in subiecta materia – la regola per cui, “una volta avuta conoscenza del provvedimento di aggiudicazione, in una delle diverse modalità possibili […] il concorrente pregiudicato è tenuto nel termine di quarantacinque giorni a presentare istanza di accesso ai documenti e a proporre impugnazione, salvo l’ipotesi eccezionale di comportamento ostruzionistico tenuto dall’amministrazione” (Cons. Stato, sez. V, 5 aprile 2022, n. 2525)”.

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