Con la sentenza in epigrafe, la Quinta Sezione del Consiglio di Stato ha fornito dei chiarimenti in merito alle modalità e ai limiti dell’accesso documentale agli atti di gara, relativamente alla fase esecutiva successiva alla stipula del contratto, sula scorta dei principi fissati dalla sentenza dell’Adunanza Plenaria del 2 aprile 2020, n. 10.
Come noto, l’ordinamento preveda due diverse modalità di accesso agli atti della Pubblica amministrazione, rispettivamente costituiti, da un lato, dall’ accesso così detto documentale (o ordinario) di cui alla L. 241 del 1990 e, dall’altro, dall’accesso civico – semplice e generalizzato – disciplinato ai sensi del D.Lgs. 33/2013, così come modificato dal D.Lgs. 97/2016.
Con riferimento all’accesso documentale, l’art. 22 della richiamata L. 241/1990 attribuisce il diritto all’ostensione unicamente a quei soggetti portatori di un “interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”.
Di contro, l’accesso civico generalizzato ex art. 5 del D.Lgs. 33/2013 presuppone un diritto generico, uti civis, ad accedere ai dati e ai documenti in possesso delle Pubbliche amministrazioni, nei limiti delle eccezioni previste ai sensi dei commi 1,2 e 3 del art. 5 bis del medesimo Decreto Legislativo.
Per quanto di specifico interesse, in materia di contratti pubblici l’art. 53, comma 1, del D.Lgs. 50/2016 prevede che “il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le candidature e le offerte, è disciplinato dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241”.
Nella fattispecie, il Consiglio di Stato è stato chiamato a valutare l’ammissibilità dell’accesso documentale richiesto dall’operatore economico concorrente che, pur non avendo impugnato gli esiti della gara, intende rivendicare il mero interesse strumentale alla verifica di potenziali condizioni di risoluzione del vincolo negoziale, idonee a legittimare l’eventuale rinnovo della procedura.
La controversia di cui trattasi, infatti, trae origine dall’istanza di accesso civico ex art. 5 d.lgs. n. 33/2013, presentata dalla seconda graduata, a seguito del rigetto da parte della Stazione appaltante di una generica istanza di accesso agli atti di gara, avanzata dopo essere venuta a conoscenza che il mezzo fornito dall’aggiudicataria avrebbe avuto caratteristiche difformi rispetto a quelle previste dal capitolato d’appalto,
Segnatamente, con detta istanza, la società reclamava l’ostensione: a) della copia integrate dell’offerta tecnica ed economica presentata dalla aggiudicataria; b) della copia del contratto di appalto; c) della copia della documentazione amministrativa e tecnica del veicolo fornito dell’aggiudicataria.
Ciò posto, al fine di dare esito alla vicenda in parola, il Consiglio di Stato ha preliminarmente ritenuto necessario richiamare e confermare i principi fissati in tema di accesso negli appalti pubblici dall’Adunanza Plenaria, con la sentenza 2 aprile 2020, n. 10.
Con la sentenza succitata, infatti, i giudici di Palazzo Spada hanno definitivamente risolto un annoso contrasto giurisprudenziale in tema di accesso, stabilendo che:
- a)l’istanza di accesso documentale ex 241/1990 concorre, anche uno acti, con l’istanza di accesso civico generalizzato. In altri termini, a fronte di una istanza che non richiami in modo circostanziato l’accesso documentale ovvero l’accesso civico generalizzato e, in particolare, ove il privato non abbia espressamente perimetrato il proprio interesse ostensivo ad una o all’altra disciplina, la Pubblica Amministrazione – e conseguentemente il giudice in sede di successiva tutela – ha il potere/dovere di vagliare l’eventuale sussistenza in capo al privato dei presupposti di entrambe le forme di accesso, a condizione che li stessi siano stati entrambi sostanzialmente rappresentati nell’istanza.
- b)gli operatori economici concorrenti alla gara sono legittimati – laddove titolari di un interesse concreto, attuale e diretto ex 22 della L. 241/1990 – ad accedere agli atti della fase di esecuzione del contratto, in ragione della permanenza in tale fase di una rilevanza pubblicistica, in relazione a vicende che potrebbero condurre alla risoluzione per inadempimento dell’aggiudicatario e, quindi, allo scorrimento della graduatoria o alla riedizione della gara, purché l’istanza non si traduca in una generica volontà da parte del terzo istante di verificare il corretto svolgimento del rapporto contrattuale;
- c)la disciplina dell’accesso civico generalizzato, fermi i divieti temporanei o assoluti previsti dall’art. 53 D.Lgs. n. 50 del 2016, è applicabile anche agli atti delle procedure di gara e all’esecuzione dei contratti pubblici, in quanto detto accesso rappresenta un diritto fondamentale che, alla luce del mutato rapporto fra cittadini e potere, concorre, da un lato, al soddisfacimento dei diritti e degli interessi dei privati e, dall’altro, al buon andamento della Pubblica amministrazione
Facendo applicazione dei principi sopra esposti, la Quinta Sezione ha osservato che la domanda ostensiva de executivis deve ritenersi, in via di principio, ammissibile “alla condizione che non fondi sulla mera allegazione (in termini eventuali, puramente ipotetici o dubitativi, che renderebbero, come tali, inammissibilmente astratto e meramente potenziale l’interesse acquisitivo e, correlativamente, esplorativa, quando non addirittura emulativa, l’istanza) della semplice eventualità di una futura riedizione della gara, ma si accompagni alla specifica, concreta e circostanziata valorizzazione di elementi fattuali o giuridici inerenti le modalità di regolare attuazione del rapporto negoziale e idonei a prefigurare, sia pure in termini di possibilità e non necessariamente di certezza o anche solo di probabilità, le condizioni di una vicenda risolutiva, per sé idonea a riattivare le chances di subentro o anche solo di rinnovazione della procedura evidenziale”.
Di conseguenza, tenuto conto che l’istanza di accesso traeva origine dal sospetto che l’aggiudicatario avesse, in concreto, effettuato, con l’accettazione della stazione appaltante, una prestazione almeno in parte difforma da quella capitolare, il Consiglio di Stato ha concluso nel senso di ritenere pienamente legittima e fondata detta istanza, giacchè trattasi di una verifica non generica né generalizzata della regolare esecuzione delle prestazioni contrattuali, orientata all’obiettivo riscontro di precisi e circostanziati elementi fattuali, la cui carenza darebbe vita ad un inadempimento contrattuale.
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