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La determinazione dell’oggetto dell’affidamento costituisce insindacabile espressione del potere discrezionale della P.A.

La determinazione dell’oggetto dell’affidamento costituisce insindacabile espressione del potere discrezionale della P.A.

Tar Lazio roma

TAR Lazio, Sez. II-quater, 10 marzo 2023, n. 4169. La determinazione dell’oggetto dell’affidamento costituisce insindacabile espressione del potere discrezionale della P.A.

Nella vicenda posta all’esame della Sezione II-quater del T.A.R. Lazio, una società (non concorrente in gara) ha impugnato tutti gli atti relativi alla procedura indetta dall’Archivio Centrale dello Stato per la fornitura e l’installazione di n. 9 dispositivi di conservazione a controllo e mantenimento delle condizioni di preservazione antideterioramento e di protezione e sicurezza a contenitori mobili.

Ad avviso della ricorrente, gli atti di gara avrebbero presentato “prescrizioni prive di un reale fondamento”, rendendo pertanto impossibile la presentazione di un’offerta seria ed affidabile, e quindi tale da “non essere esclusa de plano”.

In particolare, la società ha contestato la mancata corrispondenza tra il codice assegnato alla procedura (identificativo delle attrezzature antincendio, di salvataggio e di sicurezza) e l’effettivo oggetto della fornitura, riguardante invece la dotazione di un “sistema di archiviazione compattabile” (funzione primaria), con caratteristiche antincendio (funzione secondaria).

Il sistema di archiviazione oggetto della fornitura – ad avviso della ricorrente – non sarebbe riconducibile a nessuna delle tre categorie corrispondenti al codice assegnato e tale erronea classificazione avrebbe fuorviato la P.A. sia nella previsione dei requisiti di capacità tecnica e professionale, rivelatisi privi di una reale giustificazione, sia nell’indicazione delle caratteristiche funzionali del prodotto, dettate in applicazione di norme tecniche non pertinenti, con ciò imponendo prescrizioni illegittimamente escludenti e, dunque, lesive del confronto concorrenziale, tanto più in assenza di una previsione di equivalenza.

Il Collegio, tuttavia, ha ritenuto prive di fondamento le censure svolte dalla società ricorrente, accogliendo invece l’eccezione di inammissibilità sollevata da altra società (concorrente) interveniente ad opponendum.

Secondo i Giudici il ricorso deve essere dichiarato inammissibile in quanto affidato a censure che travisano integralmente la scelta discrezionale legittimamente svolta dall’Amministrazione rispetto all’oggetto della procedura, coincidente con la volontà di dotarsi di armadi compattabili particolarmente sofisticati idonei a garantire, nel tempo, l’integrità dei beni di interesse culturale ivi custoditi anche – ma non solo – in caso di incendio.

Dunque, “il ricorso si risolve, a ben vedere, nell’inammissibile contestazione ab imis della scelta del suddetto specifico oggetto del contratto ovvero della scelta discrezionale dell’amministrazione di dotarsi non già di ordinari armadi ignifughi (costituenti un vero e proprio aliud pro alio rispetto all’effettivo oggetto dell’appalto, per come desumibile dalla lex specialis) bensì di armadi compattabili i quali, grazie a determinate caratteristiche tecniche…consentono di garantire l’integrità del materiale cartaceo ivi custodito, anche in caso di incendio”. Ne discende che “siffatta scelta discrezionale, in quanto attualizzata in relazione alle concrete e peculiari esigenze specifiche di cui la stazione appaltante si è fatta carico, appare del tutto logica e ragionevole – in uno alle prescrizioni tecniche all’uopo previste in capitolato – e, come tale, sfugge al sindacato di merito del giudice amministrativo, pena l’indebita ingerenza dello stesso nell’agere pubblico, con conseguente complessiva inammissibilità del ricorso in esame”.

Il Collegio ha poi richiamato taluni precedenti del Consiglio di Stato, secondo cui “la determinazione del contenuto del bando di gara costituisce espressione del potere discrezionale in base al quale l’Amministrazione può effettuare scelte riguardanti gli strumenti e le misure più adeguati, opportuni, congrui, efficienti ed efficaci ai fini del corretto ed effettivo perseguimento dell’interesse pubblico concreto, oggetto dell’appalto da affidare; le scelte così operate, ampiamente discrezionali, impingono nel merito dell’azione amministrativa e si sottraggono pertanto al sindacato del Giudice amministrativo, salvo che non siano ictu oculi manifestamente irragionevoli, irrazionali, arbitrarie o sproporzionate, specie avuto riguardo alla specificità dell’oggetto e all’esigenza di non restringere la platea dei potenziali concorrenti e di non precostituire situazioni di privilegi (così Consiglio di Stato, sez. III, 31.03.2020, n. 2186; cfr. anche sez. V, 4.11.2022, n. 9693; 20.06.2022, n. 5034)”.

Ad avviso del TAR, infine, non colgono nel segno nemmeno le censure svolte in ordine al principio dell’equivalenza, in quanto, in linea con un consolidato indirizzo giurisprudenziale, è pacifico che “l’operatore che intenda avvalersi del principio dell’equivalenza (suscettibile di trovare applicazione indipendentemente da un espresso richiamo negli atti di gara) deve, dunque, fornirne la prova già in sede di gara, non potendo essa essere verificata d’ufficio dalla stazione appaltante nè tantomeno dimostrata in via giudiziale”: di talché, la ricorrente avrebbe ben potuto sostenere la conformità della propria offerta ai requisiti richiesti dall’Amministrazione, ma avrebbe dovuto partecipare alla gara e non limitarsi ad impugnarne gli atti, altrimenti risultando – come nella fattispecie – il ricorso inammissibile anche sotto il profilo della carenza di interesse.

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