Consiglio di Stato, Sez. V, 16 febbraio 2023, n. 1626. Sul divieto di rinnovo tacito dei contratti pubblici
Con la sentenza in oggetto, la Quinta Sezione del Consiglio di Stato, è tornata a pronunciarsi in merito all’estensione e all’ambito applicativo del divieto di matrice unionale del rinnovo dei contratti da parte della P.A., osserva che lo stesso è oggetto di costante interpretazione estensiva in giurisprudenza.
La vicenda de qua trae origine dal ricorso proposto avverso gli atti con i quali l’Autorità Portuale di Venezia aveva dichiarato la definitiva cessazione dell’affidamento diretto a Nethun S.p.A., società controllata dalla medesima Autorità Portuale di Venezia (in seguito anche A.P.V.), della gestione delle strutture di approdo per lo sbarco, l’imbarco e l’eventuale sosta delle unità di navigazione, disponendo al contempo, ed in via provvisoria, la proroga della gestione dei pontili alla predetta società, nelle more dell’esperimento di una procedura ad evidenza pubblica avente ad oggetto l’attività di conduzione dei pontili in questione.
Ciò posto, si rappresenta che l’art. 6 della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (come sostituito dall’art. 44 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 ed il comma 2 è stato modificato dall’art. 23 della legge 18 aprile 2005, n. 62, poi abrogato dall’art. 256 del d.lgs. n. 163 del 2006), nel vietare il rinnovo tacito dei contratti delle pubbliche amministrazioni per la fornitura di beni e servizi, comminandone la nullità, e nel consentire (fino alla modificazione introdotta dalla citata legge n. 62 del 2005) la rinnovazione espressa in presenza di ragioni di pubblico interesse (comma 2) dispone che “E’ vietato il rinnovo tacito dei contratti per la fornitura di beni e servizi, ivi compresi quelli affidati in concessione a soggetti iscritti in appositi albi. I contratti stipulati in violazione del predetto divieto sono nulli”.
A tal proposito, la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire la finalità della norma, individuandola nella tutela dell’interesse pubblico al mantenimento della qualità delle prestazioni di beni o servizi da parte degli appaltatori. In particolare, infatti, è stato osservato che è interesse primario del legislatore che dette prestazioni “non subiscano col tempo una diminuzione qualitativa a causa degli aumenti dei prezzi dei fattori della produzione, incidenti sulla percentuale di utile considerata in sede di formulazione dell’offerta, con conseguente incapacità del fornitore di far fronte compiutamente alle stesse prestazioni: è stato, pertanto, ad essa riconosciuta natura di norma imperativa alla quale si applicano gli artt. 1339 (inserzione automatica di clausole) e 1419 (nullità parziale) del codice civile (Cons. Stato, sez. V, 2 novembre 2009, n. 6709; Cons. Stato, sez. III, 1 febbraio 2012, n. 504; Cons. Stato, sez. V, 22 dicembre 2014, n. 6275; Cons. Stato, sez. V, 21 luglio 2015, n. 3594)”.
Peraltro, il divieto del rinnovo tacito trova la sua ratio anche nella tutela della concorrenza e della gara formale ad evidenza pubblica, quale canone fondamentale dell’attività contrattuale della P.A., considerato che l’automatica procrastinazione del termine contrattuale sottrae il bene oggetto dell’appalto alle fisiologiche dinamiche del mercato.
In considerazione dell’estrema rilevanza degli interessi sottesi al divieto di cui trattasi, la disposizione è stata ritenuta dalla giurisprudenza espressiva di un precetto di portata generale in base al quale il rinnovo dei contratti pubblici scaduti deve essere considerato alla stregua di un contratto originario, che, per l’effetto, richiede il preventivo espletamento di procedure ad evidenza pubblica.
Alla luce di quanto sopra, il Collegio ha rilevato l’illegittimità della proroga disposta dall’Amministrazione, rilevando che “nel vigente quadro ordinamentale, è consentita solo la ‘proroga tecnica’, l’unica ammessa in materia di pubblici contratti, avente ‘carattere eccezionale’ (ex multis Cons. Stato, sez. III, 3 aprile 2017, n. 1521; Cons. Stato, sez. V, 17 gennaio 2018, n. 274), la quale deve essere fondata su ‘oggettivi e insuperabili ritardi nella conclusione della nuova gara non imputabili alla stazione appaltante’ (Cons. Stato, sez. V, 29 maggio 2019, n. 3588)”