Cons. Stato, Sez. III, 01.06.2021, n. 4201, sugli effetti connessi alla risoluzione di un precedente rapporto contrattuale
Con la sentenza in epigrafe, la Terza Sezione del Consiglio di Stato si è pronunciata in merito agli effetti connessi alla risoluzione di un precedente rapporto contrattuale, avendo specifico riguardo all’individuazione del dies a quo del termine di cui al comma 10-bis, art. 80, D.Lgs. 50/2016.
In via preliminare, al fine di inquadrare correttamente la vicenda che ci occupa, pare opportuno rappresentare che l’art. 80 del D.Lgs. 50/2016 disciplina i motivi di esclusione degli operatori economici dalle procedure di appalto o di concessione, al contempo tracciando quelli che sono comunemente definiti i requisiti di ordine generale (morale) che i concorrenti sono tenuti a possedere per partecipare alle procedure ad evidenza pubblica.
In linea generale, la norma suddivide i predetti motivi di esclusione tra cause automaticamente escludenti e cause che sottendono una valutazione dell’Amministrazione, in quanto solo potenzialmente idonee ad escludere il concorrente dalla procedura selettiva, nell’ottica di trovare un punto di equilibrio tra l’esigenza dell’Amministrazione di contrattare solo con soggetti affidabili e l’interesse a non comprimere eccessivamente la platea concorrenziale con meccanismi espulsivi troppo rigidi.
Ciò posto, con riferimento alle cause non automaticamente escludenti, il citato art. 80, al comma 5, stabilisce che la Stazione appaltante, tra gli altri motivi, può escludere: i) l’operatore economico che si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità (lett. c); ii) l’operatore economico nei confronti del quale sia stata disposta la risoluzione anticipata di un precedente contratto di appalto pubblico per inadempimento, in quanto tale circostanza risulta ex se idonea a dimostrare l’inaffidabilità del concorrente (lett. c-ter); il concorrente che presenti nella procedura di gara in corso e negli affidamenti di subappalti documentazione o dichiarazioni non veritiere (f-bis).
In altri termini, come osservato nella sentenza in esame, “Deve, a tal fine, distinguersi tra due vicende che il Codice ha cura di tenere distinte: a) l’omissione delle informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione, che comprende anche la reticenza, cioè l’incompletezza, con conseguente facoltà della stazione appaltante di valutare la stessa ai fini dell’attendibilità e dell’integrità dell’operatore economico; b) la falsità delle dichiarazioni, ovvero la presentazione nella procedura di gara in corso di dichiarazioni non veritiere, rappresentative di una circostanza in fatto diversa dal vero, cui di regola consegue, per contro, l’automatica esclusione dalla procedura di gara, deponendo in maniera inequivocabile nel senso dell’inaffidabilità e della non integrità dell’operatore economico (laddove, per l’appunto, ogni altra condotta, omissiva o reticente che sia, comporta l’esclusione dalla procedura solo per via di un apprezzamento da parte della stazione appaltante che sia prognosi sfavorevole sull’affidabilità dello stesso)”.
Pertanto, deve ritenersi che la risoluzione di un pregresso contratto di appalto pubblico assuma in ogni caso, anche laddove contestata in sede giudizio, valenza escludente, come osservato anche dal giudice amministrativo, secondo cui “a seguito dell’introduzione della lett. c-ter) nel corpo dell’art. 80, comma 5, cit., sono previste, quale distinta fattispecie di esclusione, le gravi carenze esecutive che abbiano causato la risoluzione per inadempimento di un precedente contratto di appalto, senza richiedere la definitività della stessa, cioè la non contestazione della risoluzione da parte dell’appaltatore, ovvero la sua conferma giudiziale, com’era nel testo originario dell’art. 80, comma 5, lett. c), del Codice: il che, tuttavia, non significa che la stazione appaltante sia esonerata dal dover manifestare con un atto formale la propria determinazione di risoluzione del contratto nei confronti dell’appaltatore, al fine di dare conto in via definitiva delle carenze esecutive riscontrate” (Con. Stato, Sez. III, 7730/2020).
Resta inteso, posta la natura facoltativa della causa escludente in esame, che il procedimento valutativo posto in essere dall’Amministrazione aggiudicatrice non potrà che essere connotato dal necessario rispetto dei principi del contradditorio, della proporzionalità e dell’onere motivazionale, onde scongiurare scenari di provvedimenti connotati da motivazioni puramente formali che vanificherebbero il bilanciamento di interessi realizzato dal legislatore.
Valutazione che, oltretutto, deve necessariamente essere effettuata anche in riferimento al “tempo trascorso dalla violazione e alla gravità della stessa” (art. 80, comma 5, lett. c – ter), ultimo periodo).
Sotto il profilo temporale, peraltro, il comma 10-bis dell’art. 80 citato, stabilisce espressamente che “Nei casi di cui al comma 5, la durata della esclusione è pari a tre anni, decorrenti dalla data di adozione del provvedimento amministrativo di esclusione ovvero, in caso di contestazione in giudizio, dalla data di passaggio in giudicato della sentenza”.
Il legislatore, dunque, al fine di escludere la presenza di meccanismi espulsivi eccessivamente rigidi, ha astrattamente perimetrato la valenza escludente della risoluzione di un precedente rapporto contrattuale sotto un profilo temporale, circoscrivendola entro un periodo di tre anni decorrenti dalla data di adozione del provvedimento risolutivo
Ciò posto, nel caso di specie, la ricorrente è stata esclusa dalla procedura negoziata per la stipula di un accordo quadro per la fornitura di mascherine filtranti necessarie per la gestione dell’emergenza sanitaria Covid-19 in quanto l’inadempimento – consistente nel mancato rispetto dei termini di consegna – risultante dal Casellario assume particolare rilievo nell’ambito di detta procedura nonché in quanto la mancata dichiarazione dell’iscrizione nel Casellario rileva quale omessa dichiarazione ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. f-bis), del codice dei contratti pubblici.
Sul punto, in ordine alla legittimità della decisione della S.A., i giudici di Palazzo Spada hanno rilevato la legittimità del provvedimento di esclusione, osservando la rilevanza nel caso in esame di una pregressa risoluzione contrattuale, seppur risalente al 2016, “proprio per “mancato rispetto dei termini di consegna contrattualmente stabiliti” atteso che ciò che caratterizza la fornitura in oggetto sono i tempi brevissimi per effettuare l’approvvigionamento. Il solo dubbio che la fornitura delle mascherine potesse arrivare in ritardo giustifica, dunque, la decisione della stazione appaltante che si era posta come obiettivo l’acquisizione, in tempi strettissimi, dei dispositivi”.
Ebbene, tenuto conto della gravità dell’addebito e delle peculiarità della fornitura, il Collegio ha rilevato che la motivazione addotta dalla Stazione Appaltante a supporto dell’esclusione della concorrente, benchè succinta, fosse sufficiente ad esternare le ragioni dell’esclusione e, per l’effetto pienamente legittima, in quanto idonea a consentire da un lato la ricostruzione dell’iter logico seguito dalla P.A. e, dall’altro, al concorrente escluso di accedere utilmente alla tutela giurisdizionale ( Cons. St. sez. V, 14.04.2021, n. 2922).
Per quanto concerne, il limite triennale della rilevanza delle pregresse risoluzioni contrattuali, la Terza Sezione ha osservato che il comma 10-bis succitato è stato introdotto con il D.L. 18.04.2019, n. 32 (convertito in l. 14.06.2019, n. 55) allo scopo di delimitare, anche in aderenza con le indicazioni provenienti dagli organi europei, il periodo nel quale una pregressa vicenda professionale negativa possa incidere sulla valutazione del concorrente e comportare l’esclusione dello stesso, muovendo dalla consapevolezza che il trascorso del tempo è idoneo a far venire meno il disvalore delle condotte inadempienti, le quali possono ritenersi superate per effetto della regolare continuazione dell’attività di impresa.
Sul punto in giurisprudenza è stato già osservato che “La norma va interpretata in connessione con il successivo comma 10-bis del medesimo art. 80 (a sua volta inserito dal d.l. n. 32/2019 conv. con l. n. 55/2019), che delimita in tre anni il periodo entro cui una pregressa vicenda professionale negativa può comportare l’esclusione di un operatore economico dalle procedure di gara. Ne deriva che la risoluzione per inadempimento di un precedente contratto d’appalto può fondare una valutazione di inaffidabilità e non integrità dell’operatore per un periodo che non superi il triennio, assumendo rilevanza, ai fini della decorrenza di siffatto periodo, la data di adozione della determinazione amministrativa di risoluzione unilaterale” (Cons. St., sez. III, 07.12.2020 n. 7730).
Ciò posto, il Collegio si è soffermato sull’individuazione del dies a quo per il computo del triennio, che il legislatore ha fissato alternativamente nella “data di adozione del provvedimento amministrativo di esclusione” ovvero, se contestato in giudizio, “dalla data di passaggio in giudicato della sentenza”.
A tal proposito, la giurisprudenza sostiene che i riferimenti normativi sopra citati debbano essere intesi al fatto da cui deriva il provvedimento di esclusione, con la conseguenza che è necessario fissare il dies a quo nella data in cui lo stesso sia accertato giudizialmente.
Di talché, il Collegio conclude affermando che “il triennio decorrerà dal momento dell’adozione del provvedimento di risoluzione, ovvero, se contestato in giudizio, dalla data di passaggio in giudicato della sentenza che ha definito la causa.
Rileva il Collegio che la portata della norma non sembra lasciare spazio a diversa interpretazione, non solo facendo riferimento alla data di passaggio in giudicato della sentenza che ha deciso il contenzioso sulla impugnazione del provvedimento (nella specie la risoluzione contrattuale) ma anche stabilendo che nel tempo occorrente alla definizione del giudizio, la stazione appaltante deve tenere conto di tale fatto ai fini della propria valutazione circa la sussistenza del presupposto per escludere dalla partecipazione alla procedura l’operatore economico che l’abbia commesso”.