Cons. di Stato, Sez. IV, 15.06.2021, n. 4639, sull’interpretazione (ampia e ristretta) dei presupposti per l’esenzione dal contributo di costruzione
Nella sentenza in epigrafe il Consiglio di Stato ha ribadito che, ai fini dell’esonero dal pagamento del contributo di costruzione previsto ex art. 17 lett. c) del d.P.R. n. 380 del 2001, deve sussistere il concorso di due presupposti, uno soggettivo e uno oggettivo.
Quanto al primo, è necessario che l’esecuzione delle opere sia avvenuta da parte di enti competenti, ossia soggetti cui sia demandata in via istituzionale la realizzazione di opere di interesse generale, ovvero da parte di privati concessionari dell’ente pubblico, purché le opere siano inerenti all’esercizio del rapporto concessorio; quanto al secondo presupposto, si richiede l’ascrivibilità dell’opera oggetto di concessione edilizia alla categoria delle opere pubbliche o di interesse generale.
Il Consiglio di Stato ha precisato che la condizione soggettiva è da interpretarsi alla luce dell’evoluzione del concetto di Pubblica amministrazione, non più meramente qualificata in senso formalistico, ma funzionalistico, sussistente anche nel caso di soggetti privati che esercitino un’attività pubblicisticamente rilevante, in qualità di longa manus dell’Amministrazione. In ordine al requisito oggettivo, invece, va tenuto debitamente conto dell’orientamento restrittivo della giurisprudenza amministrativa, essendo necessario dimostrare che l’opera per la quale si chiede l’esenzione sia, per le sue oggettive caratteristiche e peculiarità, esclusivamente finalizzata ad un utilizzo dell’intera collettività. L’opera deve contribuire con vincolo indissolubile all’erogazione diretta del servizio, non essendo sufficiente né un rapporto strumentale tra le opere e il servizio, né che le opere rendano più agevole la fruizione del servizio (così anche da ultimo Cons. St., sez. IV, 7 giugno 2021, n. 4350).
Nel caso di specie, l’esecuzione delle opere è avvenuta in forza di un rapporto concessorio, che ha delegato alla società un’attività di rilevanza pubblica. Ciò si evince -anche- dalle previsioni del P.R.G. secondo cui si ammette l’attuazione dell’intervento “tramite concessione di costruzione e gestione disciplinando i rapporti con apposita convenzione”. Quanto all’indagine sulla sussistenza del presupposto oggettivo, il P.R.G. fa rientrare l’area in questione tra le zone che, ai sensi del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, sono destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale; nonché, intervenuta una variante, lo spazio in questione è classificato come “sottozona destinata ad attrezzatura terminale per la mobilità su strada e a servizi pubblici, di interesse pubblico e privati” per cui anche “la parte di edificio destinata a servizi complementari dovrà essere destinata prevalentemente a sedi per funzioni pubbliche o di interesse pubblico ed in via residuale a servizi privati, funzionali all’attrezzatura terminale (commerciali, direzionali e ricettivi)”. Ne deriva che, rispetto alla prevalenza delle destinazioni pubbliche, anche eventuali destinazioni private del complesso, purché residuali, risultano oggettivamente funzionalizzate.
Il Consiglio di Stato perciò, rilevata la connotazione pubblicistica dell’insieme delle opere, incluse quelle che, dotate di un’apparente destinazione privata, sono residuali rispetto alle superfici con immediata destinazione pubblica e, comunque, ad esse complementari in quanto inserite nell’unicum del complesso polifunzionale, ha confermato la pronuncia di primo grado, che aveva accolto la domanda di accertamento della non debenza del contributo versato.
(Giulia Stoppani)