Con la sentenza in commento, il T.A.R. Lombardia ha fornito alcuni rilevanti chiarimenti in merito alle modalità di dimostrazione dei requisiti di partecipazione da parte dei consorzi stabili, con particolare riguardo al principio del cumulo alla rinfusa.
Come noto, dal rapporto organico tipico dei consorzi stabili si faceva generalmente discendere la possibilità per il consorzio di poter spendere in sede di qualificazione i requisiti propri delle singole consorziate, tramite il cosiddetto “cumulo alla rinfusa”.
La ratio sottesa a tali forme di aggregazione soggettiva era, evidentemente, costituita dalla possibilità di cumulare i requisiti delle consorziate in capo al consorzio poggiando direttamente sul patto consortile e sulla comune causa mutualistica.
Come noto, il delineato impianto normativo è stato interessato dall’art. 1, comma 20, lett. l), n. 1, del D.L. 32/2019, che nel modificare l’art. 47 del D.Lgs. 50/2016, recante “Requisiti per la partecipazione dei consorzi alle gare”, ha previsto che i requisiti di idoneità tecnica e finanziaria per l’ammissione alle procedure di affidamento dei consorzi di tipo stabile, devono essere “posseduti e comprovati dagli stessi” con le modalità previste dal codice, “salvo che per quelli relativi alla disponibilità delle attrezzature e dei mezzi d’opera, nonché all’organico medio annuo, che sono computati cumulativamente in capo al consorzio, ancorché posseduti dalle singole imprese consorziate”.
Sul punto, nel dare atto dell’esistenza di due opposti orientamenti interpretativi formatisi a valle dell’entrata in vigore del richiamato D.L. 32/2019 in ordine ai limiti entro i quali il cumulo alla rinfusa deve ritenersi legittimo, il Collegio ha adottato l’orientamento restrittivo, secondo cui: “il primo comma dell’art. 47 è chiaro nel consentire il cumulo solo con riferimento a determinati requisiti, ossia attrezzature, mezzi e organico medio, stabilendo che, al di fuori di questo ambito, i requisiti di idoneità tecnica e finanziaria devono essere posseduti direttamente dal consorzio stabile e non per il tramite delle imprese consorziate (vale precisare che tale orientamento è espresso, seppure in obiter dictum, anche da Consiglio di Stato, ad. pl. 18 marzo 2021, n. 5).
La norma non delimita il suo ambito di applicazione ai lavori, ma è di carattere generale, perché non reca alcuna delimitazione applicativa, sicché va riferita anche ai servizi e alle forniture.
Non solo, è stata espunta la previsione di cui al previgente art. 36, comma 7, in forza della quale “il consorzio stabile si qualifica sulla base delle qualificazioni possedute dalle singole imprese consorziate”.
Questa norma non prevedeva alcuna distinzione tra imprese designate e non designate per l’esecuzione delle prestazioni, sicché aveva legittimato un’interpretazione ampia e generalizzata del cumulo dei requisiti c.d. “alla rinfusa”.
La soppressione della disposizione richiamata, unitamente al tenore letterale dell’art. 47, conducono a superare l’orientamento ampliativo e a restringere la praticabilità del cumulo ai soli requisiti menzionati nel comma 1 dell’art. 47.
Anche l’argomento della finalità proconcorrenziale, che giustificherebbe l’interpretazione estensiva, non è dirimente.
Invero, come rilevato dalla citata giurisprudenza, la finalità di favorire la concorrenza è insita nella possibilità di utilizzare la forma del consorzio stabile, indipendentemente dall’operatività del cumulo alla rinfusa.
In altri termini, a parere del TAR Lombardia, il D.L. 32/2019 ha circoscritto l’efficacia del principio del cumulo alla rinfusa, ad oggi operante con esclusivo riferimento alla disponibilità delle attrezzature e dei mezzi d’opera, nonché all’organico medio annuo.