TAR Lazio – Roma, sez. I-quater, 26 maggio 2023, n. 8972. ANAC: per i provvedimenti sanzionatori è necessaria la motivazione
Con ricorso dinanzi al TAR Lazio – Roma, la ricorrente impugnava la delibera con cui l’ANAC le aveva irrogato una sanzione pecuniaria, lamentando l’illegittimità del provvedimento per la violazione dell’art. 213 del d.lgs. n. 50/2016. Secondo la tesi della ricorrente, infatti, la condotta contestata dall’ANAC non sarebbe stata ascrivibile ad alcuna delle fattispecie sanzionatorie previste dall’art. 213, c. 13, del Codice.
Il Collegio, nell’esaminare la norma in questione, ha ricordato che la stessa prevede quattro distinte fattispecie sanzionatorie, conferendo all’ANAC il potere di sanzionare: a) gli operatori economici che rifiutano od omettono, senza giustificato motivo, di fornire alla stessa ANAC le informazioni o di esibire i documenti che la medesima richiede; b) gli operatori che non ottemperano alla richiesta della stazione appaltante di comprovare il possesso dei requisiti di partecipazione alla procedura di affidamento; c) agli operatori economici che forniscono alla medesima Autorità documenti non veritieri; d) agli operatori che forniscono alle stazioni appaltanti o agli enti aggiudicatori o agli organismi di attestazione, dati o documenti non veritieri circa il possesso dei requisiti di qualificazione.
Ciò premesso, il Collegio ha ritenuto che nel caso di specie l’ANAC avesse irrogato la sanzione ex art. 213, c. 13, del d.lgs. n. 50/2016 senza specificare nel provvedimento (né espressamente, né implicitamente, attraverso una adeguata motivazione) quale fosse la singola fattispecie integrata dalla condotta alla ricorrente, tra le varie previste dalla norma.
Tale vulnus è stato ritenuto dal Collegio già di per sé sufficiente per giustificare l’accoglimento del ricorso, con annullamento della sanzione gravata (per eccesso di potere, sub specie di difetto di motivazione). A tal proposito, il Collegio ha chiarito che i provvedimenti sanzionatori adottati dall’ANAC ex art. 213, c. 13, del d.lgs. n. 50/2016 devono contenere una motivazione – seppur sintetica – comunque idonea a consentire agli operatori economici (e, in caso di giudizio, al giudice competente) di individuare con certezza la fattispecie per la quale è stata irrogata la sanzione e di ricostruire l’iter logico seguito dall’Autorità per l’addebito della stessa. Ricostruzione che, nel caso di specie, non è stata ritenuta possibile dal Collegio, posto che l’insieme delle affermazioni contenute nel provvedimento gravato non consentiva di ricondurre la sanzione irrogata ad alcuna delle fattispecie previste dalla disposizione applicata dall’ANAC.
Non solo. Ancor più nel dettaglio, il Collegio ha rilevato che nel caso di specie era evidente che la condotta posta in essere dall’operatore economico non poteva essere ricondotta nelle fattispecie di cui alle lett. a) e c) (che sanzionano illeciti posti in essere dagli operatori nell’ambito delle interlocuzioni con l’ANAC) e, così come qualificata dall’Autorità nel provvedimento, nemmeno nelle altre due fattispecie previste dall’art. 213, c. 13, del d.lgs. n. 50/2016, lett. b) e d).
Infatti, a prescindere dall’ampiezza della fattispecie della produzione di documenti e dati non veritieri alle stazioni appaltanti, indicata sub lett. d), sulla quale si registrano anche diversi orientamenti, di fatto nel provvedimento gravato era espressamente affermato che “non si ritiene, nel caso di specie, sussistente il profilo oggettivo della falsità della dichiarazione”. Dunque, a giudizio del Collegio, tale qualificazione della condotta della ricorrente da parte dell’ANAC (con la quale la stessa escludeva che la condotta della ricorrente integrasse una ipotesi di falso, ancorché omissivo) non avrebbe consentito l’applicazione della sanzione per dichiarazioni non veritiere.
Né la sanzione irrogata dall’ANAC poteva ricondursi nella fattispecie sub lett. b), ossia di inottemperanza alla richiesta della stazione appaltante di comprovare il possesso dei requisiti di partecipazione alla procedura. Infatti, a giudizio del Collegio, il principio di tipicità e tassatività ex art. 1, della l. n. 689/1981 non consentiva una siffatta operazione ermeneutica e senza tener conto che l’Autorità non aveva comunque in alcun modo sostenuto la riconducibilità della condotta dell’operatore nella predetta fattispecie (né in sede procedimentale – nella comunicazione di avvio del procedimento o nel provvedimento gravato – né in sede processuale).