Con la sentenza in epigrafe, la Corte Costituzionale si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale Ordinario di Catanzaro con riferimento all’art. 23, comma 1, del D.L. 16 luglio 2020, n. 76 (Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale), convertito, con modificazioni, nella L. 11 settembre 2020, n. 120, che ha modificato la disciplina del reato di abuso d’ufficio ex art. 323 c.p..
In particolare, la norma in esame contrasterebbe, sotto un primo profilo, con l’art. 77 Cost. e, quanto al contenuto, con gli artt. 3 e 97 Cost., poiché, alla luce delle modifiche apportate dal Decreto Semplificazioni, l’abuso d’ufficio si concretizzerebbe in una fattispecie vincolata nell’an, nel quid e nel quomodo, rendendo pressoché impossibile la configurabilità del reato, posto a presidio del buon andamento, dell’imparzialità e della trasparenza della pubblica amministrazione.
La Corte Costituzionale ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 1, D.L. n. 76/2020 con riferimento all’art. 77 Cost., in quanto “non si può ritenere (…) che la norma censurata sia “eccentrica ed assolutamente avulsa”, per materia e finalità, rispetto al decreto-legge in cui è inserita”.
Nel dettaglio, la Corte ha precisato che, seppur il D.L. n. 76/2020 contenga un complesso di norme tra loro eterogenee, quest’ultimo ha il fine di promuovere la ripresa economica del Paese a seguito del blocco delle attività produttive che ha caratterizzato la prima fase dell’emergenza sanitaria.
In quest’ottica, secondo l’interpretazione della Corte, il legislatore ha ritenuto opportuno delimitare, in modo più puntuale, l’ambito applicativo dell’art. 323 c.p., considerato che ‹‹“Paura della firma” e “burocrazia difensiva”, indotte dal timore di un’imputazione per abuso d’ufficio, si tradurrebbero, in quanto fonte di inefficienza e immobilismo, in un ostacolo al rilancio economico, che richiede, al contrario, una pubblica amministrazione dinamica ed efficiente››.
Difatti, se, da un lato, la necessità della riforma deriva principalmente dagli “indirizzi giurisprudenziali che hanno dilatato la sfera applicativa dell’incriminazione, attraendovi, tanto la violazione dell’art. 97 Cost., quanto lo sviamento di potere”, dall’altro lato, non può negarsi che è “l’esigenza di far “ripartire” celermente il Paese dopo il prolungato blocco imposto per fronteggiare la pandemia che – nella valutazione del Governo (e del Parlamento, in sede di conversione) – ha impresso ad essa i connotati della straordinarietà e dell’urgenza”.
La Corte ha altresì dichiarato inammissibile le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 1, D.L. n. 76/2020, sollevate in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost, dirette a censurare i contenuti della norma. In relazione ad esse, la Consulta ha affermato che “resta, infatti, pienamente operante la ricordata preclusione delle sentenze in malam partem in materia penale, cui consegue, come eccepito dall’Avvocatura dello Stato, l’inammissibilità delle questioni stesse”.