Con la pronuncia in disamina, il TAR Lazio, muove le mosse dall’abrogato art. 115 del D.lgs. 163/2006 (applicabile ratione temporis alla fattispecie in questione), rubricato “Adeguamento dei prezzi” laddove testualmente prevedeva: “Tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e servizi sulla base dei dati di cui all’articolo 7, comma 4, lettera c) e comma 5”.
Orbene, la clausola di revisione dei prezzi costituiva un obbligo per le stazioni appaltanti: la revisione era sempre dovuta anche in mancanza di clausole siffatte nella lex specialis di gara.
Era compito dell’operatore economico chiedere la revisione in quanto l’obbligatorietà non comportava il diritto all’aggiornamento automatico del corrispettivo contrattuale. Si era soliti dire al riguardo che il richiedente fosse titolare di un interesse legittimo con riferimento all’an e di un diritto soggettivo al successivo quantum.
Il Consiglio di Stato ha ripetutamente accertato la natura e gli obiettivi delle norme che prevedono la revisione dei prezzi.
Con la sentenza n. 2295 del 2015, interpretando la norma del 2006 sopra citata, è stato precisato che “a) che la normativa in questione ha natura imperativa, per cui si inserisce automaticamente e prevale addirittura sulla regolamentazione pattizia, cosicché “nessuna preclusione è configurabile in ordine al diritto che trova titolo e disciplina nella legge”. L’assunto è stato confermato dalla sentenza del Consiglio di Stato, sez. III, 12 agosto 2019, n. 5686 ove si legge che: “La revisione prezzi, secondo la disciplina pro tempore applicabile, si applica ai contratti di durata pluriennale a partire dall’anno successivo al primo, e l’art. 115 D.Lgs. n. 163 del 2006 prevede l’inserimento obbligatorio della clausola di revisione prezzi, con conseguente sostituzione di diritto ex art. 1339 cod. civ. delle clausole contrattuali difformi, nulle di pieno diritto ex art. 1419 cod. civ”.
Nel caso in esame, il ricorrente ha invocato, il suddetto principio ai fini dell’inserimento automatico della clausola revisionale che non era stata pattuita tra le parti né nell’originario contratto, né nel successivo atto aggiuntivo. Tuttavia, tale deduzione presuppone logicamente la qualificazione (che questo Collegio non riconosce) dell’appalto per cui è causa come contratto ad esecuzione continuata o periodica, qualificazione che è esplicitamente richiesta dallo stesso art. 115 cit.
Il TAR ha rilevato incidentalmente che, come ribadito dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 3874/2020 la natura dell’interesse che sottende l’istituto in questione è la seguente: “L’istituto della revisione dei prezzi ha la finalità di salvaguardare l’interesse pubblico a che le prestazioni di beni e servizi alle pubbliche amministrazioni non siano esposte col tempo al rischio di una diminuzione qualitativa, a causa dell’eccessiva onerosità sopravvenuta delle prestazioni stesse (incidente sulla percentuale di utile considerata in sede di formulazione dell’offerta), e della conseguente incapacità del fornitore di farvi compiutamente fronte (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 7 maggio 2015 n. 2295; Id., Sez. V, 20 agosto 2008 n. 3994; Id., Sez. III, 20 agosto 2018, n. 4985); dall’altro di evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati nel corso del tempo tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è avvenuta la stipulazione del contratto (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 23 aprile 2014 n. 2052; Sez. III 4 marzo 2015 n. 1074; Sez. V 19 giugno 2009 n. 4079). Al contempo essa è posta a tutela dell’interesse dell’impresa a non subire l’alterazione dell’equilibrio contrattuale conseguente alle modifiche dei costi sopraggiunte durante l’arco del rapporto e che potrebbero indurla ad una surrettizia riduzione degli standards qualitativi delle prestazioni”.
Può dunque dirsi che l’istituto in questione viene concepito dal legislatore al fine di garantire l’equilibrio del sinallagma contrattuale originariamente pattuito, onde evitare che una parte possa avvantaggiarsi sine titulo (del valore) di un servizio da altri sostenuto nei costi. In questa prospettiva, il compenso revisionale costituisce un elemento integrativo del corrispettivo contrattuale.