Con la sentenza in commento, la Quinta Sezione del Consiglio di Stato riafferma l’ormai consolidato principio per cui spettano al giudice ordinario tutte le controverse riguardanti la fase dell’esecuzione del contratto di appalto, ovverosia quelle successive alla stipulazione del contratto.
Invero, con la stipula del contratto cessa la fase pubblicistica dell’affidamento e si instaura, tra l’amministrazione e l’impresa aggiudicataria, un rapporto di sostanziale parità, contraddistinto dal sorgere di posizioni di diritto soggettivo, sottratta per definizione alla giurisdizione del giudice amministrativo.
La fase di scelta del contraente antecedente alla stipula del contratto è infatti retta da norme cc.dd. “di azione”, che involgono un sindacato proprio della discrezionalità amministrativa devoluto al giudice amministrativo, mentre la fase dell’esecuzione del contratto conseguente a tale scelta, concettualmente non diversa dai contratti stipulati tra i soggetti privati ricade nella giurisdizione del giudice ordinario.
Per tale ragione, rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario le controversie attinenti alla risoluzione del contratto disposta dalla Stazione appaltante a causa dell’inadempimento dell’appaltatore, posto che tale atto, avente effetti sull’efficacia del contratto, incide direttamente sul diritto dell’appaltatore a proseguire il rapporto.
Ciò è confermato dall’art. 133 comma 1 lett. e) del c.p.a., ai sensi del quale “Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, salvo ulteriori previsioni di legge (…) le controversie: 1) relative a procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale…” e dall’art. 12, comma 1, lett. b) del D.lgs. 36/2023, ai sensi del quale, “alla stipula del contratto e alla fase di esecuzione si applicano le disposizioni del codice civile”.
Sulla scorta di quanto sopra, con la sentenza in commento, il Consiglio di Stato ha dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione il ricorso presentato dal concorrente secondo qualificato, il quale ha agito contro l’inerzia della pubblica amministrazione – qualificandola erroneamente come “silenzio-inadempimento” – a fronte del fatto che quest’ultima non aveva dato riscontro all’istanza con cui la ricorrente sollecitava la stazione appaltante affinché avviasse un procedimento per accertare i presupposti per la risoluzione per grave inadempimento dell’impresa affidataria.
Nella citata istanza, il ricorrente, lamentava il mancato rispetto, da parte dell’operatore affidatario, degli obblighi assunti in fase di gara e contenuti nell’offerta tecnica e, pertanto, chiedeva l’accertamento della regolare esecuzione delle prestazioni del contratto di appalto, al fine di verificare se ci fosse stato o meno un grave inadempimento contrattuale.
Per il Consiglio di Stato, le contestazioni circa il mancato esercizio del potere di risoluzione del contratto attengono indubbiamente alla fase privatistica del contratto, trattandosi di questioni insorte dopo la stipula, con conseguente difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.
In aggiunta a tutto quanto sopra, il Collegio ha rilevato un ulteriore profilo di inammissibilità, relativo alla natura del silenzio inadempimento.
Invero, affinché possa essere utilmente esperita l’azione avverso il silenzio inadempimento, ex art. 117 c.p.a., deve sussistere un obbligo, in capo all’Amministrazione, di provvedere attraverso un atto tipizzato, volto ad incidere in maniera positiva o negativa sulla posizione giuridica e differenziata del ricorrente.
L’indispensabile presupposto dell’obbligo di provvedere, non poteva dirsi configurabile nei confronti della Stazione appaltante resistente, posto che la giurisprudenza ha pacificamente escluso che il silenzio inadempimento possa formarsi nel caso di mancato riscontro a istanze di autotutela – come quella presentata da parte ricorrente – dato che l’esercizio del potere di autotutela è ancorato a una valutazione ampiamente discrezionale dell’Amministrazione e non si esercita, in nessun caso, in base a un’istanza di parte.
Restano dunque escluse dalla sfera di applicazione dell’istituto del silenzio, le situazioni in cui si solleciti all’amministrazione di agire in autotutela.
Per tutto quanto sopra, il ricorso è stato dichiarato inammissibile, conformemente a quanto disposto con la sentenza di primo grado.

Ricorso con cui si lamenta l’insostenibilità dell’offerta di un concorrente per violazione di stime di riferimento dei costi
TAR Lazio Roma sez. II 13/3/2025 n. 5295. Alla luce