Con la sentenza 29 aprile 2021, n. 1071, il T.A.R. Lombardia fornisce nuovi spunti di riflessione sull’applicabilità della norma sull’equo compenso di cui agli articoli 13-bis della legge 31 dicembre 2012, n. 247, e 19-quaterdecies, comma 3, del decreto legge 16 ottobre 2017, n. 148. Secondo i giudici di primo grado, la disciplina dell’equo compenso è volta alla protezione del professionista che ricopre la posizione di parte debole del rapporto con un cliente in grado di imporre il suo potere economico e di mercato mediante la proposta di convenzioni unilateralmente predisposte.
Tale disciplina non trova però applicazione ove la clausola contrattuale relativa al compenso per la prestazione professionale sia oggetto di trattativa tra le parti o, nelle fattispecie di formazione della volontà dell’amministrazione secondo i principi dell’evidenza pubblica, ove l’amministrazione non imponga al professionista il compenso per la prestazione dei servizi legali da affidare. Nel caso di specie, ossia di gara in cui l’amministrazione chiede ai professionisti concorrenti di formulare un’offerta economica per una prestazione professionale, il cui oggetto è stato dettagliatamente individuato mediante l’invio del ricorso e di tutte le informazioni relative al suo oggetto, si crea un confronto concorrenziale finalizzato all’individuazione del compenso professionale.
I concorrenti sono stati pertanto posti nella condizione di calcolare liberamente, secondo le dettagliate informazioni fornite dall’Amministrazione, la convenienza economica del compenso in relazione all’entità della prestazione professionale richiesta, senza subire condizionamenti, limitazioni o imposizioni da parte del cliente.
Pertanto, il TAR ha rigettato il ricorso proposto da uno degli offerenti.
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